In questi ultimi anni ho viaggiato tanto, come mai avevo fatto in precedenza nella mia vita. Ogni volta che un contratto di lavoro stava per terminare e l’angoscia cominciava ad avere il sopravvento mi sono rassicurata al pensiero di non avere radici, un posto fisso, e di poter utilizzare i miei risparmi per andare da qualche altra parte a reinventarmi.
Stare dentro e stare fuori sono la mia misura del vivere da precaria.
Devo riconoscere che viaggiare mi ha permesso di confrontarmi con alternative di vita molto diverse dalla mia e che mi hanno permesso di apprezzare, al rientro, tutto quello che avevo già, tanto o poco.
Mi sono spostata perlopiù in Medioriente e in Africa dove il livello di benessere, almeno secondo i nostri parametri occidentali, è di gran lunga inferiore.
Ogni volta vedere un vivere diverso e persone in territori “in bilico” mi hanno insegnato il valore e l’importante della vita come valore assoluto, senza scale.
Quanto sta accadendo ora era del tutto imprevisto nelle mie prospettive sempre occupate da rinnovi e proroghe contrattuali. Questo lockdown ha come messo una porta blindata al mio desiderio di fuga verso le vite e i mondi “altri” oggetto nei miei viaggi.
Il divieto ora è tanto semplice quanto definitivo: non posso uscire neppure di casa, figuariamoci nel resto del pianeta!
E così trascorro le mie giornate nella mia stanza da letto, che è diventata la mia casa in modo totalizzante dato che divido l’appartamento con altre coinquiline.
Dal lunedì al venerdì il mio tempo pubblico è scandito dal lavoro visto ho la possibilità di lavorare in smart working.
Il tempo privato è imvece scandito dalle pause in cucina a preparare pranzo e cena a turno perché non ci si incontri con le altre coinquiline.
Basta un cibo diverso dal solito, un tempo di cottura imprevisto di chi mi precede nel turno, e il mio pranzo/cena salta dalle 14 alle 15 o dalle 20 alle 22.
Occorre ogni volta programmare, fare i conti con quello che c’è in dispensa, con quello che si è deciso di acquistare nell’unica uscita settimanale per fare la spesa e che deve bastare almeno sette giorni.
La sera, nel momento del relax, il PC diventa un surrogato del mio amato cinema che prima frequentavo quasi a giorni alterni.
Oggi il mio principale riferimento è Raiplay di cui guardo principalmente il passato, i vecchi sceneggiati, i vecchi documentari e le vecchie inchieste. Non riesco a seguire altro. La cosa paradossale è che molti di questi sceneggiati sono girati in interni, immagino per ragioni di costo e difficoltà tecniche non essendo disponibili handy cam o attrezzature per girare all’aperto.
Molte sono storie classiche tratte da romanzi importanti come “Una donna”, “Madame Bovary”, “Malombra”… storie di donne quasi sempre chiuse a casa, vittime di pregiudizi e di coercizioni maritali e sociali.
Allora non si chiamava lockdown la loro segregazione che era nell’ordine naturale delle cose.
Ne siamo uscite allora, per fortuna, e ne usciremo anche stavolta se non altro perché la posta in gioco riguarda tutti indistintamente, ricchi e poveri, cittadini e governanti.
Non so se tutto questo ci insegnerà qualcosa, io spero di continuare a viaggiare a conoscere paesi e popoli apprezzandone sempre la vita in ogni sua forma, ora più che mai, in libertà.
Rispondi