RACCONTO SEMISERIO DELLA MIA CURVA QUARANTEMICA

Siamo chiusi in casa da oltre un mese, in questa realtà così straniante e allo stesso tempo così palpabilmente reale. Più ci penso più non posso credere di trovarmi in mezzo a una pandemia. Una pandemia. Robe da matti. Eppure è così, si percepisce che il momento è di quelli che restano nei libri di Storia. Il silenzio in strada, le giornate che iniziano a mescolarsi. Mi ricorda un film di Antonioni, in cui ci si sente sospesi in un non-spazio, con la sensazione di non sapere se i personaggi vivano davvero o stiano sognando. Ringrazio che stiamo tutti bene, che sento comunque vicine le persone a cui tengo e che posso permettermi di prendere un po’ per il culo la situazione, giusto per esorcizzarla. 

Per questo, per osmosi con la curva epidemica, sento che sto vivendo anche io la mia personale “curva da quarantena”. Una serie di fasi che nolenti o volenti stiamo attraversando, ciascuno con le proprie questioni in sospeso e con le quali è arrivato il momento di fare i conti.  La mia ad oggi, giorno non-mi-ricordo-quale-ma-comunque-più-di-un-mese è la seguente:

Fase 1: la scoperta della vita smart

Inizialmente le aziende erano aperte e finché ho potuto, ho lavorato in smart working. Nel frattempo ho scoperto le gioie delle videochiamate anche fra amiche e parenti. Abbiamo battezzato “l’ora dell’aperivirus”, quel momento della giornata in cui ti ritrovi a brindare alla webcam del pc sentendoti un po’ scema ma consapevole che non sei da sola, dall’altra parte dello schermo c’è chi ti dà corda. E’ uno dei risvolti positivi di vivere in un monto tecnologicamente avanzato. È anche l’unico modo che hai per interagire con un fidanzato che non vedi da oltre un mese. La controindicazione è che con sta mania di fare tutto smart, ho attivato circa 4 applicazioni di videochat diverse: quelle con la password per accedere alle riunioni, quelle con la chiamata multipla ma solo se si è in pochi, quella che “così se siamo in più di 10 si vede bene”. L’esempio base dello sviluppo di una normale call è poi il seguente: “Mi vedi?” “sì ti vedo ma non ti sento” “e adesso? Bene”. “Ciao. Benvenuta Tizia”. “Ciao. Sì  ma abbiamo perso Sempronia”. “Salute! A noi”. Screenshot con facce in stato imbarazzante e saluti di commiato.

Poi c’è stato il riscoprirsi parte di una stessa famiglia. Vivere in famiglia in questo caso si può dire che ha avuto i suoi vantaggi, primo fra tutti il potersi tenere compagnia. Siamo 4 adulti e un cane, che deve scendere almeno tre volte al giorno ed è anche l’unico felice della situazione, perché ci ha tutti sotto il suo totale controllo. Ci siamo divisi i turni, così lo portiamo una volta ciascuno e non stiamo troppo in giro. Poi al ritorno ci igienizziamo: zerbino con straccio imbevuto di disinfettante per le scarpe, spray di amuchina per giubbotto e vestiti, salviette per pulire la bestiola, si entra a casa scalzi. Si corre al lavandino a lavarsi le mani (40 secondi davanti, dietro, solo le dita, solo i pollici, tutte e due, una mano lava l’altra, tanti auguri a te, oh guarda si vede l’osso!). Per ora non ci siamo ancora scannati fra noi comunque. E’ buono.

Fase 2: i mestieri

Una volta che le mie mansioni lavorative vanno scemando io comincio a capire che forse dovrò impiegare il tempo, se non voglio finire come un personaggio di Patch Adams. Per fortuna si può uscire a correre. Ah no, potrebbero lapidarti per strada.  Quindi rimango chiusa dove sto, ma sento di dovermi tenere impegnata o finisce che sto tutto il giorno attaccata ai social a farmi salire il panico e a litigare con la gente, con il rischio di diventare una hater e di litigare con lo schermo del computer. 

Ci vuole un lavoro fisico: le pulizie. Divento una casalinga disperata alla ricerca del vaporetto perfetto. Pulisco tutto, comprese le fughe delle piastrelle che manco da nuove erano così belle. Igienizzo tutto. Imparo (alla veneranda età di 30 anni) a stirare. Faccio schifo e ci impiego mezza giornata per stirare 4 magliette. Il ferro è mio nemico ma a poco a poco lo addomestico. Alla fine non ho più niente da pulire, riordinare, riassestare. Cucire no. Anche perché diciamolo chi rammenda più nel 2020?

Fase 3: intellettualismi spicci

Dopo aver pulito qualunque superficie dell’appartamento, decido che questo tempo deve essere un’occasione per me. D’altra parte stare ferma non mi piace e al netto della situazione non c’è molto che si possa fare a parte rispettare le rigide regole imposte. Parto alla grande, ho deciso che mi dedico a ME. Alla MIA formazione. Ai MIEI interessi. È il momento di affinare il curriculum e stare sul pezzo. Aggiorno il blog e torno a leggere. Leggo un paio di libri a tema femminista, uno della Gruber e una della Murgia, riprendo in mano dei romanzi lasciati indietro anni fa, tipo “Delitto e Castigo” e poi guardo solo interviste a esperti economisti o documentari a tema politico da Obama a Cambridge Analytica. La mia curva è all’apice, in senso positivo si intende. Sto anche pensando di iscrivermi a un corso di lingua, così recupero il francese scolastico o lo spagnolo. Ne ho di cose da imparare, di film mai visti e libri mai letti. Questo è il momento giusto, è il momento perfetto. Sono carichissima, così carica che comincio a non essere stanca. Così alle 5 del mattino sono sveglia, magari mi viene un leggero colpo di tosse. Cazzo mi starò ammalando. E se mi ammalo io poi contagio tutti. Che ore sono? Le 6. Dai riaddormentati. Le 7. Riaddormentati. Le 8. Mi sono riaddormentata e sono le 10, merda devo mettermi a leggere, va beh dai ricomincio domani.

Fase 4: la fissa del fitness

Per ovviare alla corsa all’aperto, con un paio di amiche ci organizziamo per fare una mezz’ora di allenamento al giorno da casa, ognuna collegata in video. Attenzione perché qui si apre il mondo: le lezioni su Instagram! Seguo tutto: pilates, yoga, workout, pre-pugilistica. Non alleno i muscoli dal 2014 e sudo, ho male ovunque, non ho il tappetino e il pavimento contro le mie ginocchia non sembra così salutare. Addominali, glutei, gli odiosi squat…Madonna se non mi viene il fisico di Belen a fine quarantena mi incazzo. Poi mi ricordo due cose: la prima è che c’è una buona probabilità che l’unico anno in cui potrei essere in forma sarà anche l’unico in cui vedrò il mare solo come sfondo del desktop. La seconda è che sto facendo la quarantena in famiglia e nella mia famiglia, esistono solo due priorità: hai già mangiato?” e “cosa mangiamo?”.

E no amici, non siamo una famiglia da 4 salti in padella. Da me si fa la pasta. Si cucinano i cannelloni, la pizza, focaccia. Poi melanzane alla parmigiana e gnocco fritto. “Scusate ma io vorrei cercare di non sfondarmi possiamo accordarci?” “Va bene stasera facciamo le cotolette. È un secondo no?” Dio ti prego aiutami.

L’unica soluzione può solo essere un tapis roulant. Ho assoluto bisogno di un tapis roulant se voglio sopravvivere al richiamo del carboidrato. Hanno costi alti e sono esauriti dappertutto. Sono talmente in fissa che sto per comprarne uno a soli 80 euro su un sito di e-commerce improbabile che come minimo ti consegna fra 6 mesi un tappetino per auto spacciandolo per fitness. Mi fermo e chiudo tutto che sono a un passo dal cliccare “paga”. Mi serve un diversivo. 

Fase 5: mandare i buoni propositi in vacca

C’è un momento della quarantena in cui senti che stai perdendo il controllo: sul tempo, sulle cose da fare, sul senso della vita. A molti magari è arrivato prima a me è arrivato qualche giorno fa. La settimana mi è volata e sento che la pigrizia mi assale. Sono in pena per la situazione ma non è questo che mi attanaglia l’animo. È più quel non so che di “non ho voglia di fare una mazza”. Il diversivo, scontato e banale, ovviamente è il compagno di quarantena numero 1: Netflix e varie piattaforme di streaming. Ma nel sacrosanto rispetto del mood di cui sopra, mollo i documentari e i film impegnati. Da chi vado? Dagli inglesi con le loro serie ansiogene sul mondo virtuale e dei media? NO. Dagli italiani con le loro storie di camorra e mafia? NO. Dai francesi con le loro commedie filosofeggianti? NO. Io voglio andare in Spagna! Sì perché le serie tv spagnole sono qualcosa di surreale tanto quanto la pandemia. In pratica a seconda del genere che ci piace ogni storia è l’evoluzione di una soap opera, ma con le pistole, il sesso e gli omicidi irrisolti. Una traslazione moderna de “Il Segreto”, dove ogni trama è talmente intrigata che alla fine come minimo scopri di essere  tu, sì proprio tu che guardi la serie, il figlio illegittimo di uno dei personaggi. Sono davanti al pc e in un attimo è subito tutto chiarissimo e quindi adiòs corsi di lingua, adiòs libri, adiòs palestra (no va beh quella mi costringo a seguirla), adiòs mestieri e vaporetti. Portatemi al Banco di Spagna. ANDALE!

Pubblicità